TENERE GLI ANIMALI IN MANIERA INAPPROPRIATA E' MALTRATTAMENTO O ABBANDONO? IL PUNTO DELLA CASSAZIONE

09.01.2020

A CURA DI AVV. FILIPPO CAMELA

La risposta al quesito viene fornita dalla Corte di Cassazione la quale, con la pronuncia n. 8036/2018, delinea in maniera chiara e precisa le differenze tra le due ipotesi di reato del maltrattamento e dell'abbandono.

Nel caso in esame, un soggetto era stato condannato in primo grado (sentenza confermata in grado di appello seppur con parziale riforma in relazione all'entità della pena) per il reato di maltrattamento "per avere sottoposto il proprio cane ad un trattamento incompatibile con la sua indole, tenendolo per vari giorni legato ad una catena all'interno di un box, privo di assistenza igienica, di acqua e di cibo, all'interno del quale vi era una cuccia in cemento non riparata dalle intemperie".  

La Corte di Cassazione ricostruisce i fatti così come contestati all'imputato il quale avrebbe volontariamente sottoposto il proprio cane (di razza "pastore tedesco") "a sevizie ed ad un trattamento incompatibile con la sua indole, consistente nel tenerlo legato per vari giorni ad una catena all'aperto, senza cure igieniche, senza somministrazione né di cibo né di acqua, in assenza di un valido riparo (a tale proposito giova ricordare che il reato è stato contestato nel mese di gennaio, periodo in cui è ragionevole pensare che le temperature siano estremamente rigide ed inadeguate al benessere dei cani in assenza di idonee forme di protezione)". A fronte di tale situazione, non assume rilevanza che dagli atti acquisiti nel corso dell'istruttoria dibattimentale non sia emersa alcuna lesione "a carico della povera bestia".

Invero, al momento dell'intervento del veterinario pubblico, il pastore tedesco "presentava uno stato di magrezza e deperimento avanzato tanto che lo stesso subiva un "collasso" e non era in grado di reggersi sulle 4 zampe né di alimentarsi (condizione certamente riconducibile ad uno stato patologico tale da integrare comunque il concetto di lesione)".

Alla luce di fatti riconducibili a quelli accertati nel caso di specie, il principio di diritto applicabile è il seguente: integra il concetto di sevizie e comportamenti incompatibili con le caratteristiche dell'animale il "tenere lo stesso, per periodi considerevoli di tempo, in isolamento, legato in uno spazio angustamente circoscritto, senza cure igieniche né somministrazioni alimentari e senza un'adeguata protezione dalle intemperie, con ricadute sulla sua integrità".

Detto questo, la Corte di Cassazione distingue il reato di maltrattamento (applicato al caso concreto) da quello di abbandono ex art. 727, comma 2, c.p. che punisce "chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze". 

La differenza risiede nell'atteggiamento soggettivo del reo: il reato di maltrattamento richiede il dolo (che può essere specifico laddove si agisce per crudeltà ovvero generico laddove si agisce senza necessità); il reato di abbandono, inteso come la produzione di sofferenze per l'animale (a causa di una detenzione secondo modalità improprie) "deve essere evento non voluto dall'agente come contrario alle caratteristiche etologiche della bestia, ma derivante solo da una condotta colposa dell'agente".

BREVI CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

La questione sottoposta all'attenzione della Corte di Cassazione richiama il giusto rispetto che l'uomo deve nutrire per i suoi "amici a quattro zampe". 

Il codice penale delinea, attraverso due norme (l'art. 544 ter c.p. e l'art. 727, comma 2, c.p.), la condotta da seguire nel detenere, in maniera adeguata ed opportuna, i propri animali. In tale contesto, è possibile valutare se la violazione di tali regole possa qualificare, in concreto, una condotta di maltrattamento o di abbandono (con tutte le conseguenze che ne discendono). 

Quello che è certo è che la maturata consapevolezza che gli animali sono essere dotati di una propria sensibilità impone di considerare gli stessi come soggetti di diritto meritevoli di tutela. 

In conclusione, richiamo, come in altre occasioni, il testo dell'art. 2, lett.c) della "Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Animale" il quale dispone che "ogni animale ha diritto alla considerazione, alle cure e alla protezione dell'uomo".

 

   



Avv. Filippo Camela, Via Riccardo Grazioli Lante 9, 00195 Roma, filippocamela@gmail.com
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